giovedì 27 giugno 2013

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[precede] azioni di solidarietà con il popolo palestinese e la lotta non violenta contro l'occupazione israeliana.[2]

Il BDS è un appello fatto da più di 60 accademici palestinesi, federazioni culturali e di altro genere della società civile, sindacati ed organizzazioni (e sostenuto da centinaia di organizzazioni in tutto il mondo), per un boicottaggio completo economico, culturale ed accademico. Il BDS ha tre obbiettivi: terminare l'occupazione e la colonizzazione di tutte le terre arabe occupate da Israele nel giugno 1967, la piena eguaglianza per i cittadini arabo-palestinesi d'Israele, e riconoscere il diritto dei rifugiati palestinesi a tornare alle loro case e proprietà, così come stabilito nella Risoluzione ONU 1948. Il BDS è un movimento nonviolento globale, opposto a tutte le forme di violenza e razzismo (antisemitismo compreso). Ma il BDS non si concentra solo sulla fine dell'occupazione, ma anche nel costruire una società migliore, perciò il BDS appoggia ed è appoggiato da molte organizzazioni queer e femministe, e di altro genere.

Nel lato queer del BDS, noi rimarchiamo il collegamento tra l'occupazione e l'oppressione delle persone palestinesi lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer (LGBTQ) in Israele e Palestina. L'occupazione non distingue tra queer e non-queer - perciò, sotto l'occupazione, alle persone palestinesi LGBTQ si negano perfino i fondamentali diritti umani come la libertà di movimento, le cure mediche, l'istruzione, eccetera. Gli LGBTQ palestinesi che vivono in Israele subiscono politiche di apartheid sistematiche e legalizzate che li discriminano in ogni parte della vita, rendendoli di fatto cittadini di seconda classe (Palestinian Queers for Boycott, Divestment and Sanctions, 2010).

Inoltre, gli LGBTQ palestinesi ed israeliani sono cinicamente usati dal governo e dalla propaganda israeliana per "colorar di rosa" l'immagine pubblica internazionale d'Israele. Il governo d'Israele [AR, EN, HE], attraverso il Ministero del Turismo [EN-UK, HE, IT, ecc.], fa uso della relativa tolleranza verso gli ebrei LGBTQ (specialmente a Tel Aviv) per distrarre l'attenzione dai molti crimini di guerra israeliani compiuti a Gaza, nei territori palestinesi occupati, e nello stesso Israele. Perciò, sulle spalle delle comunità LGBTQ israeliane e palestinesi, la propaganda israeliana può vendere una falsa immagine di Israele come "liberale", "progressista", "paradiso gay", e nel contempo demonizzare le culture arabe medio-orientali e presentarle come intrinsecamente LGBT-fobiche - una nozione islamofoba il cui obbiettivo è dare ulteriore giustificazione ai crimini di guerra israeliani a Gaza e nei territori occupati, così come contro i cittadini palestinesi d'Israele. 

Il dazio del "pinkwashing = colorar di rosa" lo pagano non solo i palestinesi, ma anche le persone ebree LGBTQ, dacché i casi di violenza, discriminazione, molestie e maltrattamenti sono discretamente azzittiti perché non nuocciano all'immagine "progressista" d'Israele. Inoltre, il pinkwashing aiuta il governo a convincere la comunità LGBTQ israeliana che non ha bisogno di ulteriori diriti, e che non ci resta altro da fare che unirci alla loro marca di omonazionalismo nuova di zecca. Da un punto di vista bisessuale e transgender, val la pena inoltre notare che il processo di pinkwashing non solo [segue]

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